Attesa

Attesa

Aspettiamo.
Nella sala d’attesa della stazione dei carabinieri c’è un adolescente maghrebino, forse nato in Italia, con il viso tumefatto dalle lacrime. Ha appena finito un colloquio con il carabiniere che ora è al telefono con il maresciallo.

Io sono qui per la denuncia di smarrimento della patente, lui per aver smarrito il buonsenso, forse.

Mi verrebbe da chiedergli perché è qui, anche se la risposta sta proprio nel suo viso in lacrime; forse ha combinato qualcosa che non doveva fare. Per la legge.
Ma ha voluto farla lo stesso. Per se stesso. Gli parlo? Lascio stare.

Da lontano si sente il carabiniere al telefono, il piccolo ha un’aria dismessa, poverino.

Provo compassione e simpatia per lui. È qui senza nessuno adulto, solo con i suoi sensi di colpa. Non è il classico ometto che vuole fare il duro, è una persona che ha consapevolezza del perché è qui.
Ora è stato richiamato in ufficio, non si sente cosa si dicono ma non ci sono toni concitati da far pensare a qualcosa di grave.

Spero che sia solo una lavata di capo per questo ragazzino, anche perché penso che a casa avrà il resto della dose, se ha i genitori.
Cosa porta una persona a compiere gesti “illegali” a questa giovane età? Spavalderia? Voglia di riscatto? Farsi vedere? Farsi conoscere e riconoscere?

È ritornato in sala d’attesa e mi dice che mi aspettano di là. Lui si risiede sulla stessa sedia con la sua aria da condannato che sa.

In pochi minuti finisco le pratiche e saluto il carabiniere augurandogli buona serata; mi infilo verso l’uscio e non riesco a non auspicare a voce alta al ragazzino un bocca al lupo. Mi ha guardato ma non ha risposto.

L’ho lasciato lì con i suoi occhi gonfi di pianto e con i suoi pensieri di tristezza grandi come il mondo intero. In bocca al lupo ragazzino.

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